26/07/10
Oltre la porta un universo
Si diceva che vi fosse transitato anche Ernest Hemingway tra quei banchi assiepati di libri su cui, fingendo di non guardare, vigilava come un’inflessibile istitutrice la signora Pia. Stiamo parlando della vecchia Libreria Bassi, che a Siena – prima in Banchi di Sopra (negli eleganti fondachi di palazzo Spannocchi), poi alla Croce del Travaglio – fu ritrovo di voraci lettori e intellettuali. La bonaria prosopopea di una intellighentia di provincia trovava là dentro i necessari argomenti per legittimarsi. E mentre sul Corso lo struscio fagocitava le sere in sorrisini e sbadigli, oltre quella porta su cui un cartello avvisava con malcelato orgoglio quali lingue straniere vi si parlassero, c’era chi discettava di Leopardi, Pavese, Moravia, Céline, Tozzi. Capitava, talvolta, che qualcuno dei frequentatori (poeta, saggista, storiografo) conquistasse come autore gli onori della vetrina, e allora tale fatua ostensione quasi obbligava l’autore di turno ad essere ancor più presente nei consueti ritrovi: per assumere, se non altro, il benefico farmaco del consenso (effetto placebo, verrebbe da arguire) che tanto aiuta il “male di vivere”, quand’anche si tratti di un semplice malesserino, pressoché inevitabile per quanti respirino trecentosessantacinque giorni all’anno aria di provincia.
Ma a dare alla Libreria Bassi il respiro dell’internazionalità erano i libri e i giornali stranieri, oltre all’offerta turistica di un raffinato “tour de la ville” che il marito della signora Pia (un tipo come guizzato fuori da un romanzo vittoriano) effettuava (in veste di autista e cicerone) su una macchina d’epoca che, per altezzosità e lucentezza di borchie, pareva uscita direttamente da un cancello di Buckingham Palace.
Immerse in quell’odore di carta e polvere, di supponente provincialismo speak english, prendevano corpo certe figure alla Circolo Pickwick o che si erano appena tirate dietro la porta di chissà quale Camera con vista; o, per tornare all’assiduo pubblico degli indigeni, personaggi in perenne antitesi con se stessi, sorta di ossimori viventi: per sciatta eleganza, per come fossero originali copie di qualcos’altro. Si aggirava tra costoro persino un benestante cleptomane. Rubava libri (i cappotti invernali consentivano i migliori bottini) che poi, per comprensivo accordo tra la signora Pia e la moglie del ladro-gentiluomo, venivano pagati il giorno dopo da quest’ultima: l’operazione era signorilmente gestita dalle due parti come un saldo assai più che venale (morale).
Un piccolo mondo di cultura e di varia umanità era la Libreria Bassi. Era, appunto.
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