02/12/12
Parole e fatti. Sinistra vuol dire che...
Qualcuno ne fa una questione grammaticale: sinistra è un sostantivo o un aggettivo? A giudicare dal fervore che riscontriamo in questi giorni di elezioni primarie, potrebbe essere anche un verbo. Nel senso dell’agire, del movimentare, del mantenere vivi pensieri e coscienze. Indubbiamente una bella testimonianza, quella che si ricava dagli oltre 3 milioni di cittadini che hanno partecipato alle primarie del centrosinistra. Persone non arrese dinanzi al disimpegno, allo spettacolo indecente delle (s)partitocrazie, alla rabbia che monta quando i destini comuni appaiano tanto ingiusti quanto irrevocabili. Donne e uomini attrezzati idealmente e culturalmente per fronteggiare un frangente storico contraddittorio, inedito, di cui, talvolta, mancano anche i giusti strumenti di analisi. Evaporate le ideologie, anestetizzate le spinte riformiste, frastornati dai processi di individualizzazione e della globalizzazione, dovrà pur esserci una visione di sinistra della società, un discrimine che – come diceva Norberto Bobbio – nel segno dell’uguaglianza tracci la linea di distinzione dalla destra. Ovvero uguaglianza di opportunità tra individui, gruppi, sessi, popoli, generazioni. A meno che non si intenda cedere alle logiche aggressive di economia, finanza, impresa, mercato, come se questi fossero una sorta di ‘legge naturale’ in nome della quale smantellare welfare, istruzione, diritti sociali, poiché ritenuti non valori ma costi. Le aggregazioni politiche che si richiamino ad una idea di sinistra non possono dunque prescindere dall’affermazione di tali principi, dal pronunciare certe parole, dal denunciare le subdole prepotenze dei poteri (che a volte alla stessa sinistra fanno l’occhiolino). Dovrà pur esserci una presenza critica e riconoscibile all’interno di una società indotta alla frammentazione, all’illegalità, a confondere democrazia con populismo; una cultura e un agire che controbilancino – pur con le inevitabili mediazioni – l’arroganza dell’economia sui diritti, la dittatura del mercato sugli Stati, lo svilimento del pubblico a beneficio del privato. Perché fa davvero paura la teorizzazione di un egoismo secondo cui sarebbe normale avere pochi ricchi e molti poveri. Illuminante, a questo proposito, è quanto sostiene Gianni Vattimo, laddove evidenzia che una distinzione tra destra e sinistra si connota «nell’opposizione tra chi prende le differenze (di ricchezza, di salute, di forza, di capacità) come differenze ‘naturali’, e parte di lì per costruire un progetto di sviluppo, proprio utilizzandole ed esasperandole; e chi invece vuole garantire una competizione non truccata, correggendo le differenze di ‘natura’».
Per quanto complesse siano le sfide del tempo presente, la sinistra ha ancora una sua ragione d’essere nell’affermare una cultura contro l’atomizzazione di individui e di interessi contrapposti, per una società formata giustappunto da ‘soci’: che non è un bisticcio di parole, ma una concezione solidale del vivere, una visione del mondo. Di sinistra?
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