03/11/09

Paurose storie. Se stanno nei libri sono fuori da noi


Per non avere paura della paura bisogna farsi paura. E anche in tal caso i libri possono darci un certo aiuto. Se infatti le paure saranno in quelle pagine, significherà che non sono più dentro noi. Proprio in ragione di queste proiezioni psicologiche nacque, nel Settecento, un genere narrativo che approdò a una sua dignità letteraria con il gothic romance. Le paure individuali, ma anche quelle collettive legate all’irruenza dei mutamenti sociali, trovarono così una loro rappresentazione e una forma di simbolizzazione artistica. Eravamo nell’epoca dei Lumi, però (e probabilmente perché andavano sovvertendosi certezze credute fino allora indiscutibili) ci si volle ribaltare nelle cupezze del medioevo (da qui l’aggettivo di “gotico”) e in quelle penombre inscenare storie di amori impossibili, conflitti interiori, inquietanti fenomeni paranormali.
L’iniziatore di ciò che venne detto anche “romanzo pauroso” è considerato Horace Walpole con Il castello di Otranto (1764) e uno degli ultimi titoli del genere si deve invece a Bram Stoker, autore del celebre Dracula (1897). Nell’arco di un secolo – complice anche l’avvento del Romanticismo che non disdegnava affatto mistero, tenebre e sentimentalismi – si ebbe dunque una fiorente produzione “fantastica” che fra le sue opere più significative annovera Il vecchio barone inglese di Clara Reeve, Vathek scritto in francese da William Beckford. I misteri di Udolpho e L’italiano o il confessionale dei penitenti neri pubblicati da Ann Radcliffe, quindi Il monaco di Matthew Lewis. Finché, agli inizi dell’Ottocento, arrivano il Frankenstein di Mary Shelley, Il vampiro di John William Polidori, Melmoth l’errante di Charles Robert Maturin.
Una significativa svolta di questo genere si ebbe a metà Ottocento con Edgar Allan Poe, poiché finalmente si lasciarono perdere le sinistre stanze di castelli e monasteri neogotici o le stranezze di fenomeni sovrannaturali per scandagliare, invece, l’uomo, le profondità dell’io dove annidano paure e angosce. La narrativa anticipò insomma la psicanalisi ed ecco, oltre a Poe, Robert Louis Stevenson con Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde o ancora Arthur Conan Doyle, ritenuto il vero il fondatore del “fantastico”. Da qui scaturiranno in seguito i generi del noir, della fantascienza, dell’horror.
Quindi, poiché la paura è un’emozione che ci appartiene e che sta sospesa dentro di noi tra istinto ed elaborazione culturale, ben venga la lettura di storie paurose. Avvertiva Seneca: se volete non aver paura di nulla, dovete credere che tutto possa farvi paura.

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