24/11/08

Il coraggio di leggere toglie la paura di volare


Abbinare al verbo volare un’azione tanto sedentaria come la lettura potrebbe apparire solo un gustoso calembour. Ma sappiamo bene che non è così, poiché nel potere magico di un libro risiede una forza che è, appunto, quella di condurci lontano, in ogni altro-da-sé. Non a caso quella sorprendente creatura e poetessa che fu Emily Dickinson, poté scrivere dalla volontaria clausura della sua camera che “nessun vascello c’è che come un libro possa portarci in contrade lontane”.
Leggendo si può dunque anche volare. E volare alto: per apprendere quanto piccolo sia il nostro universo di riferimento quotidiano, per rendersi consapevoli di quante cose non conosciamo e come, pertanto, sia assurdo assolutizzare le proprie certezze e presunte verità.
Più leggiamo e maggiormente si è coscienti della vita, dei sentimenti umani, di quanti “altrove” esistano rispetto al “qui” dei nostri giorni. Ogni pagina letta non è mera nozione, ma cognizione del mondo.
Potremmo tranquillamente affermare che leggere allunga la vita, non tanto in rapporto al numero degli anni, quanto rispetto a una vera e propria qualità del vivere. Poiché ogni pagina ha magari svelato un aspetto di se stessi che non conoscevamo, ci ha messo in relazione con pensieri ed universi che fino ad allora ci erano del tutto estranei.
Peraltro la simultaneità con cui, oggi, diverse e lontane realtà comunicano, le geografie che dalle linee precise degli atlanti si smarginano e si confondono in esodi e trasmigrazioni, il mondo fatto ormai cosmopoli, impongono una conoscenza e una cultura delle “diversità” che i libri possono indubbiamente aiutare ad acquisire, pena il rischio di incontrarsi (scontrarsi) realmente come estranei o, peggio ancora, ostili.
Si tratta, insomma, di acquisire una visione del mondo, di vivere un’esistenza “informata” sulle cose e ancor di più sul loro senso. Ebbene, i libri – persino quelli che appaiano del tutto fantasiosi e chissà quanto irreali – possono aiutare a farlo.
Non c’è dubbio, quindi, che colui che legge voli. Diversamente un boato da stadio lo sommergerà nel terribile rap: chi non vola ignorante è… è.

17/11/08

sienalibri.it: la più grande libreria virtuale di pubblicazioni senesi

Navigare sul nuovo sito internet di Sienalibri, compulsarne il catalogo, scuriosare nelle sue vetrine, dà veramente la percezione di quanto ampia e variegata sia la pubblicistica legata a Siena. Pare quasi che un racconto ininterrotto e tuttora aperto ci affabuli senza sosta su una storia – quella, appunto di Siena e delle sue terre – ormai leggendaria.
Del resto non esiste mito che non sia letterario, poiché esso nasce sempre da una narrazione. E così è accaduto anche per le terre senesi, in ragione della loro storia, arte, tradizioni. Di queste terre, infatti, già si parla sui medievali libri indulgentiarum (i libri dei pellegrini che andavano a Roma, i cosiddetti romei), sui taccuini (talvolta noiosi e pedanti) dei viaggiatori del Grand Tour europeo, su numerose e variegate pagine di letteratura ottocentesca e novecentesca.
Il vero “scritto letterario” – anche quello a tema senese – comincerà, però, alla fine del Settecento, con l’inizio del Romanticismo, allorquando al manuale di viaggio semplicemente descrittivo si vorrà aggiungere la proiezione psicologica di stati d'animo e di riflessioni che scaturiscono dalla seduzione pittoresca dei luoghi: è allora che subentra anche il racconto emotivo, sviluppato attraverso i filtri e i parametri culturali di chi certi posti visitava. Nasce, dunque, il "viaggiatore sentimentale" di cui si ha una testimonianza significativa proprio nel Sentimental Journey di Laurence Sterne, pubblicato nel 1768 e reso celebre in Italia dalla versione di Ugo Foscolo del 1813.
Avviene, perciò, una sorta di scambio fra sentimento e scena paesaggistica. Dalla "vista" di un paesaggio si passa alla sua "visione". Il paesaggio non trova più e soltanto una sua descrizione estetica ma anche estatica. Si inaugura la categoria del "pittoresco", la degustazione estetizzante e nostalgica di un luogo.
Non sfuggono a tale approccio nemmeno Siena e le sue terre, al punto che i racconti che se ne faranno, da ora innanzi non parleranno tanto di quanto esse mostrano, ma di ciò che quei luoghi “sembrano”.
Sulla scia delle suggestioni romantiche si giungerà così al Novecento – quando, cioè, pure il mito di Siena è ormai consolidato – e si incontreranno pagine come quelle di André Suarès, fin troppo eccessive per la loro foga estetizzante: “Finalmente, ti ho vista, mia fidanzata tutta verginità e passione. Finalmente, ti ho trovata, o città tanto cercata, e tu mi hai accolto, come se mi avessi desiderato. [...] Che niente mi sfugga di lei o mi sia sottratto. Come in amore, la vorrei tutta, e in una volta sola, e con un tale e così perfetto amplesso, che non uno dei suoi angoli mi sia vietato, non uno dei suoi recessi mi sia estraneo”.
L'esagerata prosa di André Suarès, fa comprendere, se non altro, quanto il mito di Siena si sia alimentato nel fascino di una visione straniante, anacronistica, immaginifica della città. Come, cioè, sia stato replicato oltre misura il frastornante riverbero della sua trascorsa civiltà, ponendola, però, in un contenitore quasi sempre vuoto, se pur prezioso. Quasi fosse una "città del silenzio" di dannunziana memoria, una città che non è reale, ma, come dicevamo prima, solo "visione". Atteggiamento, questo, di origine romantica, ma che, a ben pensare, può trovarsi, sotto camuffate vesti, anche nel turismo becero e consumistico dei giorni nostri, allorché, stante la confusione delle identità, lo stravolgimento dei paesaggi esteriori ed intimi, si vada a cercare a prezzi “tutto-compreso” il brivido storico, la nostalgia del passato, la stravagante "cartolina".
Se quindi abbondano le testimonianze su una città quasi fuori dal tempo, meno numerose sono quelle che di Siena sanno cogliere, per dirla con Alfonso Gatto, la sua valenza “antica” ma mai “remota”. Proprio il poeta siciliano scriverà, al proposito, una pagina di particolare pregio: “Fu detta e si dirà città di giovinezza una città tanto vecchia che sembra incredibile ai giovani? Forse in tutte queste parole che fanno spicco di sé solo per contraddirsi si salda già l'immagine di Siena, ch'è tanto vecchia proprio per la sua gioventù, per il suo passato prossimo che la lascia ancora intatta e inverosimile, vera qual è, e abitata lungo i secoli dai suoi testimoni fedeli”. Gatto prosegue le sue acute osservazioni dicendo ancora che di tutto ciò “i Senesi non se ne accorgono, ci son dentro, chiusi e protetti insieme, impreziositi se appena vi fanno spicco: ma basta venir da Firenze per aggirarsi subito in quella delirante contemporaneità propria della giovinezza che dà a Siena il palpito dell'avventura umana e l'emozione del vivere insieme in una cronaca”.
Sarebbe indubbiamente interessante approfondire le suggestioni di tali considerazioni, e giusto sul modo di decifrare Siena appare illuminante citare anche quanto ebbe a dire nel 1989 Franco Fortini: “Quella che chiamo la leggenda di Siena ossia la proiezione simbolica della sua struttura urbana, del suo passato storico e soprattutto artistico, quella leggenda penso abbia poco più di cent'anni. Fino agli ultimi decenni del secolo, mi pare, non è ancora identificata nella cultura europea una Siena come valore universale o città dello Spirito quali lo erano Firenze e Venezia. Era una città ancora, non un simbolo”.
Si è voluto solo accennare ad alcune interpretazioni della città, per dire come tramite i molti libri dedicati a Siena – quelli editi e quelli che si continuerà a pubblicare – sia possibile ripercorrere e aggiornare la "leggenda senese". Racconti che rivelano culture, sensibilità, visioni del mondo, della storia e dell’arte le più diverse. Una ricchissima – spesso sorprendente – escursione di immaginarî, di suggestioni, di fantasie, di giudizî e pregiudizî estetici, di codici figurativi, di cifre letterarie non immuni, talvolta, da abusati clichés, stereotipi, bizzarrie e artifici retorici.
Del resto una pagina di libro (è ovviamente fatta eccezione per le guide turistiche) non potrà mai essere svilita a mera descrizione di luoghi. Però resta il fatto che in quella stessa pagina, ancorché astratta e "inventata", può sottostarvi comunque la filigrana del reale e quindi la visione di un determinato posto, magari dilatato a chissà quali dimensioni. Un modo, quindi – quello letterario – non solo per "guardare", ma per "vedere" luoghi facendone un'esperienza maggiormente universale.
Ecco, ci piace pensare, che Sienalibri rappresenti uno strumento attuale per dare conto e far discutere di tutto questo, oltre che, naturalmente, essere un servizio concreto per gli editori, i lettori, i curiosi e gli appassionati che nei libri cercano storia e storie, e in quelle storie qualcosa di se stessi.

11/11/08

Alla maniera di una terza pagina


Un tempo si chiamava “la terza pagina”. Era quello lo spazio ben definito che i giornali dedicavano alla cultura e a tutto ciò che attraverso di essa poteva veicolarsi. Collocata lì, subito dopo i gridati titoli della cronaca, sembrava quasi di voler ricordare come non fosse possibile informarsi sui fatti se poi non si sapesse leggerli, interpretarli per mezzo dei saperi.
La ideò Alberto Bergamini nel 1901 sulle pagine del Giornale d’Italia, raccogliendo, appunto, in un’unica pagina, cronaca e critica della prima teatrale della “Francesca da Rimini” di Gabriele D’Annunzio e cooptando per l’occasione intellettuali del calibro di Benedetto Croce.
Qualche anno dopo l’idea fu imitata e potenziata anche dal Corriere della Sera di Luigi Albertini, il quale si accaparrò in esclusiva firme prestigiose come lo stesso Gabriele D’Annunzio, Luigi Pirandello, Grazia Deledda. Nacque così pure l’elzeviro (nome di un carattere di stampa che da allora innanzi andrà a connotare l’articolo di fondo della terza pagina) e, quindi, l’elzevirista, una firma prestigiosa come fu, ad esempio, per il Corriere della Sera ,Ugo Ojetti.
Poi, a partire dalla fine degli anni Settanta (ma in verità già Il Giorno lo aveva anticipato nel 1956) quello spazio posto al numero 3 della foliazione si sposterà in altre parti, magari occupando anche più di una pagina come fece Repubblica nel 1976, dedicando alla cultura una sezione posta al centro del giornale.
E’ dunque sulla scia di questa nobile tradizione editoriale che da oggi, e così per ogni domenica, anche il Corriere di Siena ospiterà una pagina interamente dedicata ai libri, alla cultura, al mondo dell’editoria e, a chi, a vario titolo (autori, critici, giornalisti, editori) quel mondo frequenta e mantiene in vita.
A Siena, peraltro, l’attività editoriale è più che mai viva e fiorente. Non a caso è nato il portale di Sienalibri per far sì che la vasta bibliografia senese potesse trovare un’unica vetrina, un “luogo” di incontro, di informazione puntuale, di consultazione, di acquisti, di dibattito.
La pagina del Corriere sarà curata proprio dalla redazione di Sienalibri con l’impegno a valorizzare tutto quanto si pubblichi in terra senese, consapevoli di come ciascun libro porti a sintesi, aiuti a comprendere e a conservare una memoria comune, che, giusto come tale, necessita di essere tramandata.

03/11/08

Quel Giuseppe Garibaldi sempre in… Lizza


Lo dice il nome stesso. Si chiama “Lizza” perché verso la fine del Cinquecento era questo un luogo destinato a tornei ed esercitazioni equestri, fino a quando, nel 1779, si intese valorizzare la zona trasformandola in passeggio pubblico e incaricando Antonio Matteucci di disegnarla a giardino. Tale è ancora oggi, piccolo polmone verde in perenne ostaggio di assatanati e parcheggianti automobilisti, ritrovo di badanti in giorno di libertà, spazio dove una giostra per bambini alterna i suoi giri con altri caroselli, quelli dei ricordi di chi, ora in pensione, seduto su una panchina conta a sassolini di ghiaia, le ore che lo separano dalla desina.

Salvo qualche raro superstite, ormai quasi nessuno può raccontare per testimonianza diretta ciò che La Lizza fu nei primi decenni del Novecento e tantomeno in epoca ottocentesca. Lungo i suoi viali passeggiarono ospiti illustri quali Arthur Symons, Vernon Lee, Henry James e Paul Bourget che erano soliti prendere alloggio al Grand Hotel Royal (ingresso da via Camollia e affaccio sul Passeggio). Alla Lizza abitarono per alcuni anni le figlie di Alessandro Manzoni, Vittoria (moglie di Bista Giorgini, docente all’Università di Siena) e Matilde. In una lettera indirizzata proprio alla malaticcia Matilde – che in quella casa morirà a soli 25 anni – il padre Alessandro scriveva: “E corro anch’io col pensiero alla casa che guarda sulla Lizza, e se corro nell’andarci, non fo lo stesso nel partirne”. E ancora all’ombra di quei tigli ebbero modo di sostare Giovanni Marradi, Giovanni Comisso, Carlo Betocchi, Leonardo Sciascia.

I nostri vecchi amavano fare memoria di spettacoli e veglioni al Teatro della Lizza (già Teatro Montemaggi, dove, peraltro, Garibaldi l’11 agosto 1867 aveva tenuto un vibrante discorso), ricordavano certe serate trascorse al dancing del “Giardino dei Tigli” sorto successivamente tra i ruderi di quello stesso Teatro, il palco su cui ogni domenica si esibiva la banda cittadina, il fotografo ambulante che ritraeva soldatini di leva e fidanzatissime coppie orgogliose di mettere in posa amori che a quei tempi, pure quando finivano, erano comunque eterni.

Su tutto questo piccolo mondo teneramente provinciale, a volte perfino un po’ mondano e pretenzioso, si stagliava Lui, Giuseppe Garibaldi, l’Eroe dei due Mondi, che dall’alto del suo destriero ribadiva il mito di se stesso e di una storia collettiva. Monumento, dunque, ad un’idea di patria, di mondo, di progresso sociale.
Ma la realizzazione di quella statua equestre che tutt’oggi, da dietro il logorio del tempo, proclama l’essenziale dedica: “A Garibaldi i senesi”, non fu cosa semplice. Infatti, se tempestiva risultò la volontà del Consiglio comunale nel voler onorare in questo modo l’Eroe (decisione presa solo cinque giorni dopo la sua morte avvenuta il 2 giugno 1882), non altrettanto celere fu la messa in opera del monumento che il Comune intendeva allora collocare “nell’arcata centrale del porticato di Piazza Indipendenza o in altro luogo”.

La Società di Volontari e la Fratellanza Militare polemizzarono subito per i criteri con cui era stato formato l’apposito comitato, presieduto da Tiberio Sergardi (della stessa famiglia di quel Tommaso Sergardi che era stato sindaco quando Garibaldi nel 1867 aveva visitato Siena, accogliendolo in modo piuttosto freddo). Le due associazioni minacciarono di erigere il monumento per loro autonoma iniziativa, e tanto per dimostrare che facevano sul serio scoprirono le due lapidi poste sulla facciata dell’Albergo “Aquila Nera” e della casa di Ruggero Barni in Camollia (luoghi in cui Garibaldi aveva soggiornato in occasione della sua visita senese).
Ugualmente accese furono le discussioni su quale potesse essere la migliore ubicazione del monumento. Si ipotizzò piazza Tolomei (ma ritenuta troppo piccola e già impicciata dalla colonna che sorregge la lupa), piazza Pianigiani (spazio non sufficientemente idoneo), piazza Santa Petronilla (troppo periferica), la Croce del Travaglio (proposta avanzata dall’intraprendente architetto Partini che per fare posto al monumento suggeriva di demolire addirittura l’angolo tra Banchi di Sopra e Banchi di Sotto, rendendo così, a suo dire, anche più sicure le due strade). Da ultimo fu deciso per la Lizza, anche se qualcuno insinuò che la scelta poteva apparire dettata più dall’esigenza di decorare i Giardini che dalla volontà di onorare l’Eroe.

Individuato il posto, si trattò, poi, di stabilire chi e come avrebbe dovuto eseguire l’opera. E su queste ulteriori discussioni trascorreranno altri anni. Si arriverà così al 1889, quando vengono presentate due proposte che rimetteranno in discussione anche la collocazione, tant’è che si parlerà di porre la statua nei pressi del Ponte di Romana, oppure in uno slargo da ricavare in via Garibaldi. Finalmente nel 1891, a seguito di concorso, viene affidata l’opera allo scultore Raffaello Romanelli che già aveva realizzato il monumento ai caduti di Curtatone e Montanara nell’atrio dell’Università.

Il monumento a Garibaldi, definitivamente destinato ai Giardini della Lizza, sarà dunque in bronzo (120 tonnellate) e verrà a costare 60.000 lire. Purtroppo fu un po’ tribolata anche la cerimonia inaugurale svoltasi il 20 settembre del 1896. Pioveva. Erano presenti le autorità, i superstiti dei Mille, alcuni rappresentanti delle Logge massoniche, diverse Società di Contrada ma non le Contrade in forma ufficiale, poiché l’Arcivescovo di Siena le aveva invitate a non partecipare all’iniziativa.
L’opera, oltre al fiero Generale a cavallo, richiama, sui lati del basamento, anche alcune scene e nomi di vittorie garibaldine (Montevideo, Sant’Antonio, Milazzo, Volturno, Varese, Monte Suello, Solferino, Bezzecca, Roma 1849, Aspromonte, Calatafimi, Dijon).

Sempre a causa del maltempo, il previsto palio che si doveva correre nell’occasione fu rinviato al 23 settembre. Vinse l‘Istrice con il fantino Celso Cianchi detto Montieri. E così Garibaldi, che bene aveva portato alla Lupa presenziando alla Carriera del 15 agosto 1867, se pur da morto, si fece portafortuna equanime per le due avversarie.

Il Generale (almeno in spirito) sarà ancora in Piazza per il centenario della sua morte a cui fu intitolato il Palio del 2 luglio 1982. Nel drappellone dipinto da Cesare Olmastroni campeggia la riproduzione del monumento garibaldino della Lizza. La Carriera vide la vittoria del Valdimontone con il fantino Il Pesse che montava una cavallina di nome Cuana. E sempre in tema di Palio merita segnalare una curiosità: nei repertorî della Festa senese si fa menzione anche di un fantino chiamato Garibaldi (tale era il nome proprio e pure il suo nomignolo) che, tra il 1925 e il 1933, corse 11 Palî vincendone uno nella Giraffa il 16 agosto del 1929.
In epoca di globalizzazione – e Garibaldi fu indubbiamente un “globale” ante litteram, non a caso definito “eroe dei due mondi” – il monumento della Lizza “scalpita” ancora dentro gli incerti giorni del nuovo millennio. Quasi metafora di un Risorgimento che ne richiamerebbe altri commisurati alle criticità del tempo presente.

Da oltre un secolo il valoroso Nizzardo non è mai sceso da cavallo. Per i Senesi è uno di famiglia. I bambini continuano a giocarci intorno e, chissà, se qualche nonno – memore a sua volta del proprio nonno – indicherà al nipotino di turno: “Vedi…, Garibaldi è rivolto verso Roma”; perché, in effetti, il Nostro, con occhi e cuore, sappiamo come e quanto guardasse in quella direzione.
Ecco dunque l’Eroe sempre in confidenza con la gente, al punto che uno stornello cantato nelle Contrade di Siena può dirgli senza ritegno: “E Garibaldi a Siena si lamenta, / perché alla Lizza non ci vuol più stare, / ci vanno le ragazze a far l’amore / e da ruffiano non vuol più passare”.