22/12/08

Il dono di un libro, per regalare agli altri qualcosa di se stessi


“Un libro è un regalo che puoi aprire ancora e ancora”. Parola di Garrison Keillor, leggendario conduttore radiofonico che da trent’anni tiene botta con la sua trasmissione “A prairie home companion” (lo ricorderete, interprete di se stesso, nel film di Altman “Radio America”).
Regaliamo libri, dunque, per far sì che il nostro dono abbia, almeno potenzialmente, la capacità di meravigliare non solo al profumo del suo primo incarto, ma ogni qualvolta verrà sfogliato, riletto, ricollocato sugli scaffali delle librerie domestiche. Un libro, invero, non è dato e letto una volta per sempre; in ragione del fatto che le sue pagine interagiscono (si reinscrivono in noi) a seconda delle età e delle vicende della vita.
Sbaglia, poi, chi pensasse che un libro possa risultare regalo sbrigativo o, peggio ancora, anonimo. Anzi: sceglierlo, indirizzarlo a una persona, implica quasi il superamento di un certo pudore. Si va, infatti, a esternare una preferenza, un’adesione di cuore e intelligenza a quanto su quella carta è impresso, poiché un libro esprime comunque una visione del mondo e dell’esistenza, forse un giudizio etico, un gusto estetico, un disagio, un guizzo di giocosità, un bisogno di consolazione, magari un atto di presunzione. Lì può essere espresso – decisamente meglio di come potremmo farlo noi – quanto oggi pensiamo, detestiamo, sogniamo, ammiriamo, amiamo.
Con un libro, allora, si può regalare un pezzo di sé stessi, scrivere di noi per interposta persona, dare il senso e la misura della con-passione che ci attraversa nei confronti della propria e altrui esistenza. E ancora di più: offrire di sé l’immagine che, per sentimenti, pensieri, elaborazioni intellettuali, maggiormente ci affratella ai nostri simili, all’universo intero.
Non si dimentichi al proposito quanto Proust intendesse dire con “Il tempo ritrovato”, ovvero indicarci quel tempo in cui il libro che da sempre è in noi finalmente si svela e ci svela a noi stessi. Scrive l’autore della Recherche: “Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso”. C’è quindi un tempo per leggere che, in definitiva, è il tempo della conoscenza di sé e di noi agli altri. Tutto ciò può accadere anche regalando un libro.

15/12/08

L’impegno di Sienalibri - Organizzare una vetrina senese


Dati recenti dell’Associazione italiana degli editori ci informano che la lettura di libri registra una incoraggiante crescita. Sarebbero, infatti, 24 milioni e mezzo le persone (dall’età di 6 anni in poi) che dicono di dedicare parte del loro tempo libero alla lettura. Cifre piacevolmente rimbalzate anche all’interno del Palazzo dei Congressi dell’Eur dove si è conclusa da qualche giorno la Fiera di Roma dei piccoli editori (400 espositori su un totale di circa 2500 sigle presenti in Italia); una manifestazione che cresce di anno in anno e che costituisce ormai un significativo riferimento per l’imprenditoria editoriale e culturale.
Proprio in tema di iniziative legate alla piccola e media editoria ci preme ricordare il workshop promosso lo scorso novembre da Sienalibri sul tema “Essere o non essere editori a Siena. La filiera del libro tra opportunità e sviluppo, risorse economiche e impegno culturale”, per dire come anche nella realtà senese sia emersa, da parte degli stessi editori, l’esigenza di “fare sistema” in modo da migliorare la propria offerta e soprattutto avere una visibilità sul mercato che solo unendo le forze sarà possibile realizzare.
Quanto emerso in quella occasione non è rimasto lettera morta e Sienalibri si sta giusto attivando come tramite fra editori, istituzioni e associazioni di categoria per giungere a delle azioni concrete di promozione delle diverse pubblicazioni prodotte in terra di Siena. Piacerebbe, ad esempio, poter partecipare alle più importanti fiere del libro con uno stand “Sienalibri” in cui tutta l’editoria che opera in territorio senese fosse presente con i propri prodotti di maggior interesse e prestigio. Così come vorremmo poter offrire, sul piano della comunicazione, strumenti qualificati, efficaci, commisurati alle esigenze e non sporadici.
D’altra parte esiste un pubblico di lettori – quello, peraltro, più assiduo e più colto – che non si lascia certo abbindolare dalle classifiche e dai bestseller portati in pellegrinaggio da una trasmissione all’altra della televisione, ma che cerca avventure e percorsi di lettura inconsueti. Insomma, per dirla con Vitaliano Brancati: “E’ vero che ciascuna persona ha sotto il braccio il libro che si merita”. In ragione di ciò parrebbe altrettanto opportuno aiutare i libri a trovare le braccia giuste.

09/12/08

Scrittura e realtà - L’immaginario è ciò che esiste

Ciò che si è, ciò che si vorrebbe essere. Ecco, in estrema sintesi, il sentimento, l’inquietudine che percorre l’ultimo romanzo di Andrea De Carlo, con quel singolare titolo (“Durante”), un po’ preposizione, un po’ participio, ma, nella narrazione, nome proprio di persona o, per meglio dire, di un moderno sciamano fuori dalle regole della comune convivenza, il quale pare ignorare “i codici per la comprensione e la descrizione del mondo che ognuno di noi impara fin da bambino”.
Romanzo della “dualità” – qualcuno ha detto – poiché al narratore Pietro, dopo aver conosciuto Durante, si sconvolgono gradualmente tutte le confortanti certezze del suo esistere, scatenando in lui una sorta di nostalgia dell’altrove.
E’ un bel libro, che, come i libri ben riusciti, ribaltano il lettore in quella intima regione dove assai incerto risulta essere il confine fra reale e immaginario (il proprio immaginario), per riproporre, poi, il rapporto tra letteratura e realtà.
Un dualismo nato con l’arte stessa del narrare e comunque con quel capolavoro che si indica come il primo romanzo dell’epoca moderna: il “Don Chisciotte della Mancia” di Miguel de Cervantes Saavedra.
Chisciotte andava… matto per i libri, al punto che fu dato fuoco alla sua biblioteca nel tentativo di rinsavirlo. Giusto per spiegare questo rapporto fra libri e realtà Michel Foucault nell’opera “Le parole e le cose” prende a esempio proprio Chisciotte per dire come egli “vuole essere fedele al libro che è diventato; lui stesso è il proprio libro, è libro in carne e ossa”. E a quel punto non può che inseguire tutte le possibili concomitanze tra realtà e scrittura. Perciò è considerato pazzo, perché va ad impersonare una sorta di coincidenza fra le parole e le cose, tra la scrittura e la realtà.
La follia di Chisciotte è dunque contenuta in questa ossessione che conduce a caccia di similitudini tra l’esistente e l’immaginario. Dulcinea non è bella ma lo sembra. I mulini sono mulini, anzi no dei veri giganti.
Ebbene, a suo modo anche De Carlo con il suo “Durante” ha riproposto il dilemma reale/immaginario, in ragione del fatto che in noi acquista la dimensione dell’immaginario non tanto l’inesistente, quanto piuttosto ciò che esiste (potrebbe esistere) ma ci manca.

01/12/08

Libri per sempre


Chissà come sarà stato il cielo sopra Magonza nel lontano 23 febbraio del 1455, quando Johann Gutenberg, orafo e tipografo, insieme all’incisore Peter Schöffer, concluse la stampa della cosiddetta “Bibbia a 42 linee”. Per coloro che, nei secoli a seguire, sarebbero diventati inguaribili bibliofili, non v’è dubbio che, quel giorno, su Magonza doveva splendere un gran sole. Era nato, infatti, il “libro a stampa”, finiva cioè l’ars naturaliter scribendi (quella degli amanuensi) per lasciare il posto all’ars artificialiter scribendi.
Soltanto una quarantina d’anni dopo, altro cielo ebbe poi a rilucere su Venezia, laddove Aldo Manuzio, tipografo ed editore, portò all’apice l’arte tipografica rinascimentale, raccogliendo in sé – come ha avuto modo di dire Fabio Massimo Bertolo – le doti del grande umanista, dell’abile editore, dell’attento grafico e dello straordinario promotore culturale.
Da allora in poi, e attraverso le diverse fasi delle trasformazioni sociali, il libro sarebbe gradualmente diventato industria editoriale, fino a giungere ad una sorta di vera e propria democratizzazione dell’oggetto-libro che prende il via dalla rivoluzione industriale in Inghilterra, qualche decennio dopo in Francia e verso la metà dell’Ottocento in Italia, ad opera, nel caso italiano, di grosse case editrici, prevalentemente milanesi, torinesi e fiorentine.
Sia dunque lode a coloro che, a vario titolo, da oltre mezzo millennio, hanno fatto sì che il libro continuasse ad esistere come veicolo di alfabetizzazione, di cultura, di evoluzione sociale. E, non di meno, come “oggetto”: bello nella sua forma tanto essenziale, misterioso finché non se ne percorra tutta la sua sfrigolante sequenza di carta, destinato alla molteplicità ma così personale non appena il singolo possa farlo proprio.
I libri che ciascuno conserva in casa, sono, insieme alla casa stessa, il contenitore della memoria personale, nella misura in cui con quelle pagine la nostra vita si è intrecciata, informata, emozionata. Ed è per loro tramite che la memoria di noi va così a inscriversi nella memoria di tutti, poiché – lo sostiene anche Umberto Eco – una biblioteca è “il luogo della memoria universale, dove un giorno, nel momento fatale, potrai trovare quello che altri hanno letto prima di te”. Stampiamo dunque libri: per non dimenticare e per non essere dimenticati.