19/12/11

Giovani lettori. I figli meglio dei genitori


Pur con percentuali al di sotto dei coetanei europei, pare che i ragazzi italiani leggano più libri dei loro genitori. Se la cosa è vera ci troviamo dinanzi a una di quelle situazioni in cui sono i figli ad educare chi esercita su di essi la patria potestà, in tal caso con autorevole ignoranza. Allora coraggio ragazzi, intervenite finché siete in tempo. Prima che babbo e mamma vi portino in gita al tunnel del Gran Sasso a vedere i neutrini che arrivano dalla Svizzera più veloci della luce; salvate vostra madre dal credere che Il piccolo principe sia la biografia non autorizzata del principino William. Sorprendeteli, vendicatevi con eleganza di tutte le paternali (e maternali) che siete costretti a sciropparvi. A Natale regalate loro un libro.
Giusto per indicare il senso della genitorialità potreste depositare sotto l’albero il sempreverde Profeta di Gibran, magari con il bigliettino di auguri infilato tra le pagine in cui si legge che “I vostri figli non sono i vostri figli … Potete sforzarvi d’essere simili a loro, ma non cercate di renderli simili a voi”. Esemplare anche il Pirandello di Tutto per bene, commedia utile a capire la differenza che c’è tra fare il padre ed esserlo, perché non è sufficiente credersi genitori se poi non si è riconosciuti come tali dai figli. A voler essere spietati ci sarebbe poi la drammatica Lettera al padre di Kafka, aspro sfogo di un figlio verso un soverchiante padre che lo confinava tra paure e inettitudine. Ma anche Svevo con La coscienza di Zeno non scherza: tutto il libro ruota attorno alle implicazioni psicoanalitiche di uno schiaffo paterno a seguito del quale “mi si contrasse il cuore dal dolore della punizione ch’egli aveva voluto darmi…”. Così come risulta illuminante Pura vita, romanzo di De Carlo sul tema del dialogo generazionale, dal quale emerge che una figlia sedicenne è perfettamente coerente con la sua esistenza adolescenziale, mentre il padre non ha ancora imparato a vivere da adulto. Infine se volete dare a vostra madre una sublime botta emotiva, suggeriremmo In nome della madre di Erri De Luca, laddove Miriam dopo aver partorito Ieshu dice: “Che vuoto mi hai lasciato, che spazio inutile dentro di me deve imparare a chiudersi. Il mio corpo ha perso il centro, da adesso in poi noi siamo due staccati, che possono abbracciarsi e mai tornare una persona sola”.
Ecco, ragazzi, qualche idea-regalo. In modo che dinanzi alla ennesima rampogna genitoriale “non la puoi intendere sempre al tuo libro”, questa volta abbiate decisamente ragione voi.

12/12/11

Vicissitudini. Quando si dice il caso…


Tra i casi insoluti della nostra esistenza c’è giustappunto ‘il caso’. Ovvero quanto, con termini più gravi e pensosi, viene altrimenti detto destino, fato. Insomma tutti quegli accadimenti riconducibili alla categoria “vai a sapere perché…” e dei quali, proprio riconsiderandoli, non riusciamo a trovare una causa oggettiva. Sarebbe ciò che il filosofo Antoine Augustin Cournot (1801-1877) chiamò “il caso come causalità non-lineare”, perché a suo dire una serie di cause non sempre risulta consequenziale, laddove si presenta in ripetuti e disorientanti incroci.
Se poi la vogliamo fare più semplice, diciamo pure che la nostra vita è costellata di “sliding doors” e che pure noi, come nell’omonimo film di Peter Howitt (ma già l’idea l’aveva avuta quasi vent’anni prima il regista polacco Krzysztof Kieslowski con Destino cieco) riusciamo, soddisfatti, a prendere (e chissà come mai) certi treni in corsa, mentre altre volte l’affanno della nostra fretta svapora su portiere irrevocabilmente chiuse in faccia, lasciandoci (e ancora una volta chissà come mai) su desolanti marciapiedi. Da questi treni, afferrati al volo o perduti, dipendono poi fatti, scelte, affari, incontri, amori, convinzioni. Ecco, allora, che una singola – talvolta poco ponderata – azione può avere conseguenze imprevedibili e determinare il futuro. E’ nota a questo proposito la suggestiva definizione di ‘effetto farfalla’, secondo cui “il minimo battito d’ali di una farfalla è in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo”. Immagine che sarebbe stata ispirata dal racconto fantascientifico A sound of thunder (“Rumore di tuono”, 1952) di Ray Bradbury in cui lo scrittore statunitense immagina futuribili macchine del tempo su cui far salire turisti desiderosi di avventurarsi in safari temporali. Ma sarà proprio durante una di queste escursioni in una remota era preistorica che un gitante calpesterà una farfalla scatenando così allucinanti conseguenze per la storia dell’umanità. La poetica metafora della farfalla si prestò bene, in seguito, a considerazioni scientifiche su elettroni e molecole, tanto che Edward Lorenz in una conferenza del 1972 sviscerò l’argomento: “Può il batter d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?”. E per tornare a noi: quante farfalle abbiamo inavvertitamente calpestato nella nostra esistenza? O forse eravamo noi le farfalle – vittime e colpevoli allo stesso tempo – in balia di avventati safari che la vita promuove con tragicomiche offerte ‘tutto incluso’. Quando si dice… il caso.

05/12/11

Tele visioni. Zapping sul nulla


Ne è passata di acqua… dai tubi catodici. Da quando ‘la televisione’ era ‘il televisore’, ad oggi in cui sullo schermo converge una multimedialità fatta di testi, immagini, telefonia, suoni, notizie, relazioni (?) sociali. Ed è in questa nuova era del tele-vedere che è arrivato anche lo switch off, l’inappellabile transizione dalla televisione analogica a quella digitale. Rivoluzione tecnologica, collasso d’antenna che ha tolto il sonno ad eserciti di anziani, i quali portano al collo il tasto salvavita ma non il bottone del pronto soccorso Tv. Così che – perfida ambivalenza delle parole – se a base di digitalis purpurea sono le pasticche che riequilibrano i loro scompensi cardiaci, il digitale, stavolta, li ha prodotto ansie e patemi rispetto a una quotidianità che proprio la televisione fodera di rassicurante monotonia.
Si è spalancato perciò, e non solo per gli anziani, un vasto disorientante palinsesto che, scorso per intero oltre quota 200 – tanti sono i canali della nuova (s)offerta televisiva – ha dato l’impressione di quelle botteghe “tutto a 99 cent”, fitti di un ciarpame persino simpatico quanto inutile. Mai zapping era stato tanto deludente nel rapporto quantità/qualità. Fatta salva la gratificazione di un inevitabile sorriso che può scaturire dall’ascolto di persone che discutono seriamente dei problemi calcistici del Compiobbi, mentre altrove si vendono brillanti (questi a poco più di 99 cent) o frullatori risparmia-tempo tali da mettere le casalinghe nelle condizioni di poter esercitare fuori casa altre redditizie attività (vedasi i relativi canali ‘tematici’). Finché la scintillante desolazione trova riparo in chiese a 40 pollici dove si recita sempre il rosario con la voce di disperanti misteri dolorosi, a ricordarci che tale è la vita terrena (anche, e a maggior ragione, se guardata in alta definizione).
A prescindere… – direbbe Totò, magari riproposto da provvidenziali canali movie – resta il fatto che la televisione vive una fase di trasformazione rispetto alla quale andrebbero aggiornate anche le analisi a suo tempo formulate da Karl Popper (“Una democrazia non può esistere se non si mette sotto controllo la televisione”) e Marshall McLuhan (“televisione cattiva maestra”). Il medium televisivo è sempre più globale, generalista ma pure generico, schermo ‘piatto’ in tutti i sensi. E di fronte alla crisi strutturale della democrazia (e ad essa collegata della cultura) non vorremmo che il mondo subisse uno switch off irrecuperabile da qualsiasi tipo di decoder.