28/11/11

Moti a luogo. Se la poesia è… ciclabile


Il giorno che, vincendo la pigrizia, decidessimo di scappare dal mondo, converrà farlo in bicicletta. Tutti i veicoli, ancorché più veloci, non consentono, infatti, la soddisfazione fisica (e la sua benefica ripercussione sullo spirito) di una fuga a due ruote: che in tal caso non significherebbe tanto la ricerca di ‘altri’ luoghi, ma di un modo per attraversare, percepire, ritrovare gli stessi luoghi in maniera ‘altra’. E in quella “velocità silenziosa” avvertire il sentimento del mondo, quasi fosse ascoltabile a rime baciate, perché – Paolo Conte non ha dubbi in proposito – “una bici si declama / come una poesia / per volare via”.
Peraltro, se volessimo davvero buttarla in poesia, rinveniamo ‘pedalate’ di indubbia nobiltà letteraria. Pensate che Giovanni Pascoli fa salire in bici pure i temi impegnativi della sua poetica, così da dire: “Mia terra, mia labile strada, / sei tu che trascorri o son io? / Che importa? Ch’io venga o tu vada, / non è che un addio”. Ciclista più o meno immaginario, egli lascia che i pensieri si allertino al “dlin… dlin” della “piccola squilla” e nonostante l’inesorabilità di ciò che al poeta risulterà comunque un addio, non nega che “bello è quest’impeto d’ala”, “grata è l’ebbrezza del giorno”.
A porvi mente scopriamo che la letteratura da tempo dispone di proprie ‘piste ciclabili’. Guido Gozzano si ritrova, affidatagli momentaneamente in custodia da una fanciulla, una “bicicletta accesa d’un gran mazzo di rose”, finché la ragazzina non recupera la rutilante macchina che “il fruscio ebbe d’un piede scalzo, / d’un batter d’ali ignote, come seguita a lato / da un non so che d’alato volgente con le rote”. Se poi il velocipede evoca amori, Corrado Govoni non può dimenticare quando “Tu pedalavi vaporosa avanti, / ed io a volo dietro il tuo cappello, / come in un delizioso carosello / mosso da Dio sol per noi amanti”. E sempre sul filo dei ricordi ronzano le ruote di Giorgio Caproni: “E come dolcemente geme / ancora, se fra l’erba un delicato / suono di biciclette umide preme / quasi un’arpa il mattino”.
In bicicletta, insomma, non si fugge da nulla; anzi, ritroviamo noi stessi e sé medesimi, con rinnovati sguardi, dentro paesaggi, umanità e cose della vita. Forse per tali ragioni H.G. Wells, popolare scrittore britannico e convinto pacifista, sosteneva che vedere una persona in bicicletta fa pensare a come per l’Uomo possa esserci ancora speranza. Sia chiaro: per spingersi su quei pedali un po’ di fatica è richiesta. Oltre a un’intima sintassi che sappia cogliere i moto a luogo… del cuore.

21/11/11

Da Saffo a Freud. Squassa Eros l'animo mio


Nella sua Lettera aperta al diavolo (1972), il letterato e sociologo Robert Escarpit tagliò davvero corto dicendo che l'erotismo altro non è che una pornografia di classe. Ovviamente sapeva benissimo che le cose non stanno esattamente così, ma forse anche lui intendeva dare un po’ di levità al gran discettare su questa materia, tanto semplice e ‘naturale’ nella pratica, quanto arzigogolata nelle teorie. A cominciare dal fatto che erotismo, sessualità, pornografia sono categorie contigue ma tra sé diverse.
Certo è che appena il piacere si emancipò culturalmente dalla sola idea della procreazione, i diritti della carne trovarono subito argomentazioni letterarie. Nella cultura classica greca si sosteneva, ad esempio, che Eros è figlio di Poros (acquisto) e di Penia (povertà). E’ dunque questo certificato anagrafico ad attestare come il nostro insaziabile desiderio sia, ahinoi, condannato all’indigenza. E da tale consapevolezza ecco spiegata ‘la passione’ che avrà i suoi cantori in Saffo (“Squassa Eros / l'animo mio, come il vento sui monti che investe le querce”), in Meleagro cui si deve la prima antologia licenziosa (La Ghirlanda) o Luciano di Samosata che con i suoi Dialoghi delle cortigiane (“O Corinna, e’ non era quel gran male che tu credevi di vergine diventar donna”) è ritenuto il precursore della pornografia.
Anche nell’area latina un erotismo filosofico argomenterà le proprie ragioni con l’esplicita poesia di Catullo, Orazio, Ovidio. Mentre, quanto a realismo, resta insuperabile il Satyricon di Petronio dove, a detta di Federico Fellini, i due protagonisti “metà vitelloni, metà capelloni, passano da un’avventura all'altra, anche la più sciagurata, con l'innocente naturalezza e la splendida vitalità di due giovani animali”.
Tali rappresentazioni dell’amore non piacquero, però, alla cultura giudaico-cristiana che le sbaraccò presto dalla scena (ob scaena, appunto). Si dovrà aspettare l’umanesimo rinascimentale per ritrovare aedi della lussuria quali Pietro Aretino. Quindi il Settecento francese (che contagiò anche l’Inghilterra) con raffinate opere erotiche e pornografiche. Attraverso romanticismo e decadentismo le tematiche dell’eros incroceranno successivamente la psicoanalisi. E da qui in avanti tutto si complicherà, almeno nelle teorie. Sul versante, invece, della pratica e dell’attualità, l’OMS in questi giorni ha informato che nel mondo avvengono quotidianamente cento milioni di rapporti sessuali, sessantacinquemila al minuto. In tal caso non si tratta di letteratura, ma di matematica.

14/11/11

Città mito. Leggenda romantica ma non solo


Come drappelli di riservisti, pluridecorati dalla vita e con gli inevitabili acciacchi dell’età, incedono compatti dietro un ombrellino che a mo’ di guidone è segnale di marcia e di raccolta. Sono i turisti a tempo (solo diurno), fanti di cuori (in affanno) su e giù per le piagge di Siena, salvo imbambolate soste nei luoghi deputati alla cartolina che ciascuno ormai ricava dalla propria fotocamera… con vista. Strana categoria di viaggianti non-viaggiatori, guardano il mondo senza vederlo, attraversano località senza che nulla resti loro addosso. Non si accorgono nemmeno della scontrosità degli indigeni, che tali invasioni mal tollerano per una sorta di supponenza ‘sentimentale’; cioè a dire: non può essere trattata così questa città tanto bella e amabile. Ben altri sguardi, attenzioni, intimi struggimenti ella richiede.
Ma, forse, proprio da questo legittimo risentimento, potrebbe nascere un quesito che si fa quanto mai attuale nel momento in cui si pensa Siena capitale europea della cultura. Ovvero: sono certi i Senesi che il loro modo di vivere e di ‘interpretare’ la città, sia, oggi, quello giusto? Esiste (e resiste) infatti, anche da parte loro, il ‘consumismo’ di un mito che per quanto nobile è ancora troppo legato alla leggenda romantica di Siena. Quella nata poco più di un secolo fa e che ha intessuto un racconto sulla città definendone la visione, la percezione ideale ed emotiva. Con tale registro narrativo ci è stata tramandata una educazione sentimentale verso il luogo (meraviglioso, non v’è dubbio) in cui abbiamo avuto la fortuna di venire al mondo. E con immutato ‘lessico famigliare’ si è continuato a trasmettere la leggenda che piace, rassicura, inorgoglisce. Chissà, però, se non sia giunto il momento di far progredire quel racconto, non certo smentendo il già detto (peraltro detto assai bene fino a costituire un mito letterario), ma per far sì – parafrasando quanto scrisse Alfonso Gatto – che questa città antica, mai diventi ‘remota’. Si tratta, insomma, di ricomporre al presente una narrazione per poter nuovamente decifrare e ‘comprendere’ Siena. Seguendo magari – se ci è permessa la suggestione di un paragone – il procedimento analogo a quello attuato in Palazzo Pubblico da Simone Martini con la sua Maestà: stupendo sviluppo di una consuetudine figurativa che andò ad ‘informarsi’ a nuovi universi culturali. La questione per Simone non fu solo di forma, ma di significati; di come, dall’interno di una tradizione, si potesse capire, illuminare (e di quale luce!) la realtà del momento.

07/11/11

Pagina su pagina. Se il piccolo è grande


E’ notizia di qualche settimana fa. Rischia di chiudere anche la graziosa libreria londinese diventata celebre per avere ospitato alcune scene del film Notting Hill. A nulla sembra valere il ricordo di Julia Roberts che tra quegli scaffali insinuò la sua bellezza e una rassicurante storia d’amore con poco sesso ma tanto frizzante romanticismo. E non date la colpa al timido libraio William (ovviamente stiamo parlando della finzione cinematografica) se anche quella porta che ad ogni spinta muoveva un campanello d’altri tempi, sarà obbligata a serrare il proprio ingresso (e questa è realtà). La colpa è della crisi che, come si sa, ha costretto gli innamorati dei libri a doversene disamorare, pena il rischio del default, famigliare in tal caso.
Lasciamo pure Notting Hill e (a malincuore, se ci è concesso) Julia Roberts. Usciamo insomma di metafora per dire che i numeri che leggiamo a proposito del mercato dei libri variano a seconda delle analisi e dei segmenti di mercato che di volta in volta vengono presi in considerazione. Ma il calo complessivo delle vendite è innegabile.
In tale situazione, ammirevole è la tenacia di chi gestisce certe librerie indipendenti e quella dei piccoli-medi editori che spesso si contraddistinguono per qualità di contenuti, raffinatezza, lungimiranza. Non meno lodevole è l’editoria erroneamente detta ‘di provincia’, la quale privilegia – è vero – l’ambito locale, ma che, così facendo, arricchisce e continua a dare voce al racconto di micro-universi che, altrimenti, andrebbero perduti nel chiasso della globalizzazione. E’ questa una editoria di storie, di memorie, di dettagli, di enclave geografici e culturali, dove persone, cose e giorni narrano la vicenda umana vista ‘da qui’. Perché un cannocchiale è talvolta utile anche nel suo rovescio. Più è lontana la prospettiva e maggiormente si allarga la postazione da cui si scruta.
Qualcuno ricorderà alcuni tipografi-editori che tenevano bottega nella vecchia Siena, dentro labirintici antri, saturi dell’inconfondibile odore di stampa. V’era il crogiolo delle linotype con le loro cascatelle di piombo, il tenace stantuffo delle macchine, il miracolo della carta che dall’anonimato del bianco acquistava l’autorevolezza della parola impressa, indelebile. Là prendevano forma anche libri che aggiungevano storia a storia, pensieri a sentimenti, notizie a curiosità. Era uno dei modi – Borges l’avrebbe detto molto bene – per ribadire che la storia universale è comunque una sola piccola storia. Talvolta un piccolo libro.