09/12/08

Scrittura e realtà - L’immaginario è ciò che esiste

Ciò che si è, ciò che si vorrebbe essere. Ecco, in estrema sintesi, il sentimento, l’inquietudine che percorre l’ultimo romanzo di Andrea De Carlo, con quel singolare titolo (“Durante”), un po’ preposizione, un po’ participio, ma, nella narrazione, nome proprio di persona o, per meglio dire, di un moderno sciamano fuori dalle regole della comune convivenza, il quale pare ignorare “i codici per la comprensione e la descrizione del mondo che ognuno di noi impara fin da bambino”.
Romanzo della “dualità” – qualcuno ha detto – poiché al narratore Pietro, dopo aver conosciuto Durante, si sconvolgono gradualmente tutte le confortanti certezze del suo esistere, scatenando in lui una sorta di nostalgia dell’altrove.
E’ un bel libro, che, come i libri ben riusciti, ribaltano il lettore in quella intima regione dove assai incerto risulta essere il confine fra reale e immaginario (il proprio immaginario), per riproporre, poi, il rapporto tra letteratura e realtà.
Un dualismo nato con l’arte stessa del narrare e comunque con quel capolavoro che si indica come il primo romanzo dell’epoca moderna: il “Don Chisciotte della Mancia” di Miguel de Cervantes Saavedra.
Chisciotte andava… matto per i libri, al punto che fu dato fuoco alla sua biblioteca nel tentativo di rinsavirlo. Giusto per spiegare questo rapporto fra libri e realtà Michel Foucault nell’opera “Le parole e le cose” prende a esempio proprio Chisciotte per dire come egli “vuole essere fedele al libro che è diventato; lui stesso è il proprio libro, è libro in carne e ossa”. E a quel punto non può che inseguire tutte le possibili concomitanze tra realtà e scrittura. Perciò è considerato pazzo, perché va ad impersonare una sorta di coincidenza fra le parole e le cose, tra la scrittura e la realtà.
La follia di Chisciotte è dunque contenuta in questa ossessione che conduce a caccia di similitudini tra l’esistente e l’immaginario. Dulcinea non è bella ma lo sembra. I mulini sono mulini, anzi no dei veri giganti.
Ebbene, a suo modo anche De Carlo con il suo “Durante” ha riproposto il dilemma reale/immaginario, in ragione del fatto che in noi acquista la dimensione dell’immaginario non tanto l’inesistente, quanto piuttosto ciò che esiste (potrebbe esistere) ma ci manca.

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