14/09/09
Disegnare la scrittura, scrivere i disegni
Con espressione acculturata viene detta “letteratura per immagini”, però, per farla breve, del “fumetto” si tratta. Definito, appunto, in tal modo perché dentro a certi sbuffi di fumo sono riportati i dialoghi tra i personaggi che animano le diverse storie, più disegnate che scritte.
Si è stabilito che la nascita del fumetto – ma il dibattito sulla sua primogenitura è tutt’ora aperto – sia da attribuirsi all’intuizione narrativa di un maestro di scuola, il ginevrino Rodolphe Töpffer, che tra il 1827 e il 1833 realizza e pubblica “Sette racconti per immagini”. Töpffer ebbe subito un gran successo e quindi anche diversi imitatori, tant’è che il fumetto si diffuse rapidamente in tutta Europa. Insomma nacque un genere (e perfino un business) che nel corso del tempo ha progressivamente scavalcato i recinti in cui lo si credeva confinato (quelli dell’infanzia e dei ceti popolari) per raggiungere anche la cultura dotta.
Non siamo esperti della materia e perciò sarà bene evitare azzardi critici. Ci limiteremo a una semplice testimonianza. Fu su Il Corriere dei Piccoli che esercitammo i primi passi nella lettura, cantilenando le gustose didascalie a piè di ogni vignetta, composte in ottonari a rima baciata (taluni ricorderanno: “Qui comincia l’avventura / del Signor Bonaventura”) e attraverso successive e casuali incursioni tra Il Monello, L’Intrepido e Tex, approdammo, da adulti, al Corto Maltese di Hugo Pratt. E fu una rivelazione per come in quelle pagine si fosse giunti a una delle più sorprendenti sintesi tra fumetto, pittura e letteratura. Folgorati, dunque, da una “narrativa grafica” di notevole livello letterario che lasciava intendere quale mole di letture vi stesse dietro (Kipling, Rimbaud, Salgari, Hesse, Conrad, Borges, tanto per fare qualche nome). Non a caso Pratt diceva che “prima di scrivere ogni storia leggo cinquanta libri” definendosi un autore di “letteratura disegnata”, perché – amava ripetere – “disegno la mia scrittura e scrivo i miei disegni”.
La nostra infatuazione prattiana nacque quando con Una ballata del mare salato realizzammo che il fumetto (quale bellezza le profonde campiture di quei paesaggi!) potesse farsi davvero romanzo di raffinata trama e ritmo narrativo in un movimento sincronico di avventura, amori, eroismi, malinconie. Ci iscrivemmo, così, alla scuola di pensiero di Umberto Eco che non ebbe remore nel dichiarare: “Quando ho voglia di rilassarmi leggo un saggio di Engels, se invece desidero impegnarmi leggo Corto Maltese”. E non neghiamo che da allora il termine “fumetto” ci sembrò molto riduttivo.
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