20/12/10

Santa Claus fermoposta


Almeno dal punto di vista letterario la questione è fuori discussione: Babbo Natale esiste in tutte le sue varianti onomastiche: Sanctus Nicolaus, Sinter Klass, Santa Claus. Perché la storia dell’obeso e generoso vecchietto è cominciata, giustappunto, con quel San Nicola (vissuto tra il 270 e il 343) che anche Dante ricorda nel Purgatorio (XX, 31-33): “Esso parlava ancor de la larghezza / che fece Niccolò a le pulcelle, / per condurre ad onor lor giovinezza”. Nei versi danteschi si allude alla leggenda che narra di tre giovani poverissime e al loro padre, un nobiluomo caduto in miseria, il quale, proprio a causa delle disperate condizioni economiche, soffriva per non riuscire a maritare le figlie. Finché non intervenne il buon Nicola, che, in incognito, per tre notti consecutive, attraverso una finestra del castello, fornì tre sacchi di monete, sufficienti a costituire la dote delle ragazze. La terza notte, però, trovò la finestra inspiegabilmente chiusa. Allora Nicola gettò davvero il cuore oltre l’ostacolo. Lisciò per un attimo la lunga barba bianca e decise di arrampicarsi sui tetti per infilare il sacchetto di monete dentro il camino del focolare dov'erano appese le calze ad asciugare. Immaginate, all’indomani, il gioioso stupore di babbo e figliole.
Dalle pagine letterarie alle letterine il passo è stato breve. Se infatti esiste al mondo un uomo così magnanimo, conviene tenerselo caro. Basta scrivergli una volta all’anno. Lo sanno bene i bambini che in questo genere epistolare dominano perfettamente la scrittura secondo il collaudato schema narrativo: 1) benevola autocritica: comportarsi da piccole canaglie non significa essere farabutti come i grandi; 2) imprescindibili esigenze: cioè lunga lista delle cose che, ad oggi, servono per una propria crescita serena ed appagante; 3) sottile (e nemmeno poco) ricatto: ovvero, a fronte della merce ricevuta valuteremo la possibilità di diventare più buoni.
Se poi le letterine subiscono l’editing di genitori e maestre, possono essere percepibili in filigrana moti di sentimento che vanno dal misticismo di Tolstoj (ricordate il ciabattino Martin?) all’anticonsumismo (e qui la cosa si fa dura) che Italo Calvino affidò all’ironia del suo Marcovaldo, passando dal commosso e socialmente impegnato Canto di Natale di Dickens. Gli adulti, d’altra parte, vivono il Natale in modo conflittuale. Talvolta con la scontrosità ungarettiana di chi non ha nessuna voglia di tuffarsi in “un gomitolo di strade”, magari nell’inutile attesa di una letterina che, in tal caso, Babbo Natale dovrebbe scrivere a loro.

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