10/12/12

A proposito di denaro. Chi crede ancora alla Volpe e al Gatto

“Pecunia non olet”, si diceva nell’antica Roma. Se il denaro non aveva odore a quei tempi, figuriamoci oggi che i soldi sono sempre più intangibili, sganciati dalla realtà. Tanto che basta un clic per spostare capitali da una parte all’altra del mondo. Soldi, dunque, sempre più virtuali e sempre meno virtuosi, non finalizzati all’economia ma alla speculazione. Moneta che non tintinna, ma che nella sua silenziosa impalpabilità si fa padrona del mondo, compra vite, è la mediatrice (il simbolo) che stabilisce chi e che cosa valga. Coloro che avessero letto il romanzo Resistere non serve a niente di Walter Siti (Rizzoli, 2012) avranno trovato la rappresentazione lucida e feroce di questa distorsione su scala globale, alimentata da un pullulare di maestranze: broker-pirati, mafiosi con la cravatta, banchieri con il maglione, politici corrotti, giovani finanzieri tutti nervi e scienza. Incredibile (ma anche no) il personaggio Tommaso, ex ciccione ed ex matematico prodigio, ora prestigiatore in Borsa, completamente schizofrenico tra certi residuati di bontà e il cinismo necessario per frequentare un universo in cui il denaro (e il possederlo) comanda e deforma l’esistenza. E’ la contemporaneità, asserirà qualcuno. Però a ben pensarci il problema nasce almeno un paio di secoli fa, se addirittura un poeta come Leopardi si accorse che il mondo stava guadagnando in progresso a discapito della civiltà, “quasi che gli uomini, discordando in tutte le altre opinioni, non convergano che nella stima della moneta: o quasi che i denari in sostanza sieno l’uomo: e non altro che i danari […]. Analisi lucidissima, quella del sor Giacomo, fino a concludere che se l’uomo viene identificato con il denaro si arriverà a ciò che altri avrebbero poi chiamato la prevalenza dell’avere sull’essere (ormai uno slogan, inflazionato anch’esso), ovvero la mercificazione dell’uomo disposto a vendersi in corpo ed anima. E, sempre sul tema, quale incredibile attualità ha il Faust di Goethe – opera che notoriamente racchiude un giudizio morale sulla ‘modernità’ – allorché Mefistofele consiglia Faust, a sua volta consigliere dell’imperatore, su come fronteggiare la crisi economica del regno. Ecco la mefistofelica ricetta: sostituire la moneta d’oro con quella di carta, così che quando sulle terre del regno si fosse trovato l’oro (oro che al momento era solo immaginario) quella carta avrebbe luccicato di chissà quale valore e nell’illusione di tale prospettiva il popolo se ne sarebbe stato calmo nel pantano di una devastante inflazione. Per tornare ai giorni nostri. Viene da chiedersi quale demonio si sia impossessato del globo, ammorbando con lo zolfo degli affari facili quell’economia reale che per lo meno puzzava di sudore umano. E’ forse arrivata l’ora di rovesciare il tavolo, a cui, peraltro, siedono giocatori che non rischiano soldi loro. O vogliamo credere alla volpe e al gatto: “E pensare che, invece di quattro monete, potrebbero diventare domani mille e duemila! Perché non dài retta al mio consiglio? Perché non vai a seminarle nel Campo dei miracoli?”.

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