06/04/09
Letteratura di viaggio. Lontano da noi per trovare se stessi
Un grande viaggiatore quale fu Michel Eyquem de Montagne, a quanti gli domandassero il perché del suo viaggiare era solito rispondere che sapeva bene da quel che fuggiva ma non quello che cercava. Arguta sintesi che a suo modo spiega anche come il mito del viaggio costituisca uno dei nuclei più profondi attorno ai quali la cultura occidentale abbia narrato il senso della vita, la ricerca della verità e della salvezza di sé. Basterà ricordare l’Odissea, la Commedia dantesca, Il Milione di Marco Polo, il Robinson Crusoe di Daniel Defoe dove l’autore pone il problema della solitudine dell’uomo, tema che ritroveremo anche nel Viaggio sentimentale di Laurence Sterne che in Italia ebbe l’autorevole traduzione di Ugo Foscolo. E ancora le colte impressioni di viaggio annotate da Goethe, Byron, Stendhal. O per rifarsi a geografie immaginarie (ancorché verosimili nella loro forza metaforica) le splendide pagine de Le città invisibili di Italo Calvino Così come è da ritenere libro di viaggio l’Ulisse di Joyce che, per quanto circoscritto nell’ambito di una città (Dublino) rappresenta un errare per tutto il cosmo.
Certo è che quando in letteratura si adotta la metafora del viaggio, significa scatenare una contaminatio di sentimenti i più diversi. Distacco, spaesamento, esilio, perdita, solitudine. Ma non di meno, viaggiare significa stupore, divertimento, trasgressione, avventura, conoscenza, prova. E in tutto ciò, ricerca di se stessi, poiché per ritrovarsi è necessario perdersi. Insomma, per dirla con John Steinbeck, non sono le persone a fare i viaggi, ma i viaggi a fare le persone.
Come insegna proprio l’Ulisse di Joyce, costruiamo la nostra identità viaggiando e arricchendola delle diversità con cui entriamo in contatto, senza esserne distrutti ma, anzi, “edificati”. Da qui l’attualità di quel libro che può continuare ad essere preso come una educazione al viaggio e all’interpretazione del mondo. Le diverse personalità che il protagonista joyciano incontra significano, infatti, le culture e le storie dell’umanità. Il monologo interiore del Signor Bloom (drammatico, ironico, sentimentale) raccoglie frammenti di coscienza di noi tutti. Nel suo “flusso di coscienza” troviamo il pensiero umano quasi allo stato nascente, prima ancora, cioè, che subentri qualsiasi forma di pre/giudizio.
Ecco, pertanto, il senso del viaggio che andrebbe stipato in valigia a ogni nostra partenza. Quando siamo a preoccuparci di quale vestiti portarci dietro, dimenticando che gli abiti da scegliere con cura sono quelli che indosserà la mente.
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