01/03/10

Alle origini. Lingua del volgo, lingua di Dio


Parlava in aramaico, ma seppe cavarsela piuttosto bene persino con l’antica lingua toscana. Il poliglotta in questione fu Gesù di Nazareth o, per meglio dire, il Vangelo che di lui racconta vita, opinioni e miracoli. La disinvolta premessa allude a una affascinante traduzione delle pagine del “Vangelio de sancto Johanni” in lingua toscana, risalente alla fine del Duecento, con chiari elementi di lingua senese. Il prezioso manoscritto, conservato presso la Biblioteca Vaticana, qualche anno fa è stato edito dalla Società Biblica Britannica per la cura di Marco Cignoni e “grazie a Dio” è ora alla portata di tutti.
Al momento si ritiene che sia la più antica versione italiana del testo giovanneo offertaci nella sua interezza. Una di quelle versioni “sine glossa” (cioè senza addolcimenti) che sapevano parlare al cuore delle persone attraverso, appunto, la lingua volgare e non il latino ecclesiastico. Da un linguaggio diretto e quotidiano emergeva, dunque, la radicalità del messaggio cristiano, così come lo colsero Francesco da Assisi e Valdo da Lione (in questo secondo caso mediato dalla langue d’oc). Ma, come è noto, alla Chiesa cattolica non piacque.
Duplice è, pertanto, il fascino di quelle pagine: per come vi risuoni la pregnante lingua degli illetterati, nonché per come vi si avverta la tensione verso una fede autentica. Gli studiosi, da par loro, pongono una serie di interrogativi sulle origini del manoscritto. Nella nota di presentazione, Lino Leonardi si chiede, ad esempio, se questo testo del codice vaticano sia effettivamente quello del traduttore o già un suo rimaneggiamento. Sempre Leonardi vorrebbe indagare sui rapporti che potrebbe avere quella versione con altre esistenti, proprio per comprenderne meglio origini e diffusione.
Al di là degli aspetti filologici a noi è dato comunque il piacere della lettura e della commozione, fin dallo splendido incipit: “Nello incominciamento era il Figliuolo di Dio, e ‘l Filgliuolo di Dio era appo Dio, et Dio era il Filgliuolo di Dio”. Risuona così una lingua netta, spigolosa, colorita, come quando va a descrivere l’incredulità di Tommaso: “S’io non vederò le mani sue et le fissure dei chiavelli et s’io non mecterò la mano mia nel lato suo, io no ‘l crederò”.
Le suggestioni, insomma, sono molteplici. E viene da chiedersi quali mani si siano passati il minuscolo Vangelo manoscritto (10x5 centimetri), chi fosse davvero in grado di poterlo leggere e chi altro ascoltarlo con tutto il tremore di chi avverta la “novità” di un invito, perché, come lì sta scritto, “il maestro è presente et chiàmati”.

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