20/05/13

Volare alto - Dove osano le idee

Il Salone del Libro di Torino 2013 si è dato il motto “Dove osano le idee”. L’allusione è al celebre film (1969) di Brian G. Hutton “Dove osano le aquile”, tratto dall’omonimo romanzo dello scozzese Alistair MacLean. Sullo schermo Richard Burton e Clint Eastwood sono protagonisti di una avventurosa storia di guerra tra le cime delle Alpi bavaresi, lassù dove, appunto, volano alte aquile e temerari aviatori. A voler sottilizzare, il nesso tra guerra e idee potrebbe essere anche discutibile, poiché ogni genere di guerra risulta essere, in verità, l’espressione più evidente (e più drammatica) della mancanza di idee. Ma ai promotori del Salone del Libro premeva evocare quali sommità ed imprese siano raggiungibili con la fantasia, la creatività, il pensiero. Da ciò quello slogan che annuncia il Salone, accompagnato dal disegno di un aeroplanino di carta che punta dritto verso lune, stelle e pianeti. Cioè verso l’inesplorato, l’ignoto, l’infinito, che solo la forza della fantasia e il miracolo delle idee possono raggiungere. A Torino, infatti, il tema portante è la “Creatività e cultura del progetto”, per le quali occorrono – è vero – motivazioni e audacia al pari di chi sfidi i cieli. L’appuntamento torinese, dunque, invita a volare alto. Offre momenti di riflessione in una fase della vita sociale purtroppo priva di qualsiasi progettualità e in cui una pseudo-creatività viene coniugata nelle sue più infime sottospecie: furbizia, arte dell’arrangiarsi, filosofia spicciola del minimo-sforzo-massimo-rendimento. Oggi nessuno sembrerebbe possedere delle idee. La politica vi ha rinunciato da tempo (costituiscono addirittura un impiccio all’esercizio del potere), l’imprenditoria non ha mezzi per sostenerle e concretizzarle in cose, la cultura continua a produrle ma con lo stesso triste destino delle arance di Sicilia, lasciate marcire ai piedi degli alberi. Nel desolante Paese dei senzaidee, allo stadio si alzano i buuu verso un connazionale di pelle nera; Pompei crolla, tanto quella è roba riservata a pochi appassionati di colonne; il governo della nazione è, nei fatti, tenuto sotto scatto da una giovane prostituta e dal suo “utilizzatore finale”. Ciò nonostante, e in questo stesso Paese, ricercatori mal pagati impegnano giornate a studiare e sperimentare per far sì che non si debba più vedere un bambino martoriato dalla chemio, stilisti e designer proseguono ad elevati livelli la tradizione del made in Italy, accademie d’arte e conservatorî musicali pullulano di talenti, giovani laureati vorrebbero mettere a disposizione della comunità i loro saperi. Manca, però, una “cultura del progetto” che trasformi la creatività in risorsa, progresso, utilità. Il matematico Henri Poincaré ebbe a dire che “Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili”. Ottima sintesi. Ai creativi è chiesto questo: congiungere il disordine all’ordine, il paradosso al metodo, l’estetica all’etica, il già noto all’inconosciuto, il disutile all’utilità. Perciò le idee debbono osare.

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